La fontana del Porcellino è uno dei monumenti più popolari di Firenze, situata a margine della loggia del Mercato Nuovo, vicino al Ponte Vecchio.
Il nome popolare della statua bronzea del “Porcellino” è improprio perché raffigura un cinghiale. Deriva da una copia romana di un marmo ellenistico, che papa Pio IV donò a Cosimo I nel 1560, durante la sua visita a Roma. Dell’originale marmoreo, che oggi si trova agli Uffizi, Cosimo II de’ Medici fece fare una copia in bronzo a Pietro Tacca nel 1612, destinata a decorare palazzo Pitti. Il modello in cera risale al 1620 circa, mentre la fusione fu eseguita solo intorno al 1633, per via delle continue e più urgenti commissioni granducali, come i Quattro mori di Livorno o le due fontane di piazza Santissima Annunziata. Nonostante fosse una copia, la resa di dettagli naturalistici come il pelo dell’animale rivela la straordinaria capacità come bronzista del Tacca, che fu il migliore allievo di Giambologna.
Alcuni anni dopo la fusione Ferdinando II de’ Medici decise di trasformare l’opera in una fontana, che è documentata sotto la loggia del Mercato Nuovo almeno dal 1640. La fontana aveva una funzione principalmente pratica, oltre che decorativa, perché approvvigionava l’acqua ai mercanti che commerciavano sotto la loggia, che a quel tempo erano specializzati nella compravendita di stoffe pregiate quali sete, broccati e panni di lana. A quell’epoca risale anche il diminutivo di “Porcellino”. Il Tacca creò anche la vasca bronzea originale (oggi in deposito) per la raccolta delle acque. La collocazione originaria era davanti all’omonima spezieria del Cinghiale, su via Por Santa Maria, aperta nella prima metà del XVIII secolo e luogo di riunione di intellettuali. Nell’Ottocento, per facilitare la viabilità sulla strada, venne spostata nella posizione attuale sul lato sud, davanti all’odierna ex-Borsa Merci.
Il basamento è di forma ottagonale, con la parte anteriore allungata in modo da accogliere una piccola vasca dove cade il rivolo d’acqua che esce dalla bocca del Porcellino. È arricchito da una raffigurazione, sempre in bronzo, dell’ambiente degli acquitrini dove vive il cinghiale, con piante e animali quali anfibi, rettili e molluschi, tutti di notevole realismo. Fu rifatto nel 1857 da Clemente Papi per rimediare ai danni dall’usura nel tempo
Nel 1988 l’intera opera fu rifusa dalla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli, come esplicita un’incisione sul bordo destro: l’originale è dal 2004 al museo Bardini.
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